domenica 11 ottobre 2009

a proposito di un'intervista sull'università

L'intervista del Rettore di Trieste ad Enrico Milic propone, tra gli altri, il tema delle sedi periferiche e quindi anche la questione del disimpegno dell'Ateneo giuliano nei confronti del Consorzio Universitario di Pordenone.

Il Professor Peroni illustra naturalmente il punto di vista triestino, che poi è quello degli Atenei grandi che di questi tempi devono fare i conti con emrgenze economiche e strutturali; la cosa mi pare comunque interessante, dal punto di vista pordenonese, per fare una (mia, ovviamente parziale) riflessione sul significato e la presenza dell'Università in riva al Noncello.

Partiamo da un dato.
Non esiste università senza ricerca, e la ricerca si fa con biblioteche, laboratori, personale dedicato e progetti. Lo stato delle cose dice che tutto questo è possibile, nell'ambito pordenonese, forse solo nell'ambito delle Scienze multimediali; il tentativo di aprire un Dipartimento, cinque o sei anni fa, non ha sortito risultati e la possibilità che il Polo tecnologico diventi un riferimento di ricerca in grando di sviluppare energie supplementari e feconde non pare essere immediata.

Insomma: lo spazio per una presenza universitaria strutturata, a Pordenone, se c'è è davvero poco, ed induce quindi a pensare in termini di settorializzazione, di nicchia. A scartare, per essere conseguenti, progetti generalistici e a concentrare le energie. Direi di più, in questo senso: se si vuole tenere a Pordenone qualche corso "generale", magari in Economia o Giurisprudenza, sarebbe più utile attrezzarsi, accordarsi con le Università per far ricevere in remoto in diretta le videoproiezioni delle lezioni e renderle poi disponibili agli iscritti pordenonesi, magari provvedendo loro anche di tutoraggio.

Meglio, ripeto, curare le nicchie presenti e future e dotarle delle condizioni di sopra: biblioteche, laboratori, ricerca, personale. Naturalmente, se si vuole lavorare per un modello di Ateneo attrattivo nei confronti di 19-25enni del territorio e non solo. Ce ne sono anche altri, di modelli, però, non necessariamente alternativi: ad esempio la valorizzazione delle risorse presenti sul territorio, insomma la formazione postuniversitaria, che nella realtà produttiva e imprenditoriale pordenonese avrebbe senso; avrebbe senso (aggiungo, a partire dall'ambito che conosco di più) pure puntare sul ruolo dell'Ateneo per la valorizzazione e la crescita dell'intero sistema formativo pordenonese a beneficio dell'intero territorio (dalla qualità di base della formazione allo scouting dei talenti).

Certo: individuare le nicchie la loro esperibilità, valutare la possibilità di scenari postlaurea sono compiti del territorio, non degli Atenei (in questo senso, la struttura del Consorzio è un'opportunità, perché le Università sono soggetti cui ci si rivolge); sono compiti di sintesi che spettano alle figure di riferimento -insomma del ceto dirigente politico, economico, sociale e culturale.

Questo è l'altro passaggio fondante, e lungimirante: guarda alla capacità di progettare futuro.

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