lunedì 12 ottobre 2009

notizia, discussione, notizia: Gigi Di Meo e le interazioni su Facebook

Anche in riva al Noncello c'è un fenomeno legato a Facebook: un fenomeno legato non ad una novità assoluta, ma a qualcosa che già c'era e che col faccialibro sta articolando nuove possibilità.
Di che si tratta?
Nel giro di poche settimane dall'apertura del suo account su Facebook, il più noto volto televisivo pordenonese, Gigi Di Meo (che i miei piccoli riconoscevano per le vie della città già a due anni), ha raggiunto la "quota 5000" che satura il numero di amici per una singola persona. Ma la cosa non si ferma qui, alla constatazione di un fatto che in fondo è noto (cioè, appunto, la popolarità del giornalista): Di Meo ha reso il suo account un luogo "sensibile" nel quale, in qualche modo, si testano e costruiscono le priorità delle notizie per l'edizione serale del suo TG.
Dalle prime ore del pomeriggio, infatti, Di Meo lancia spunti, agenzie, dichiarazioni, anticipazioni ed il suo nutrito numero di amici risponde, commenta, sviluppa, dando al giornalista un ritorno corposo (per numero d'interventi) ed immediato in merito all'interesse ed al coinvolgimento; tutto ciò, appunto, trova riscontro nelle scelte e nei modi con i quali le notizie vengono poi date nel notiziario delle 19,15.

E' significativo notare come la vita su Facebook del popolare giornalista abbia da subito goduto di un successo incomparabilmente maggiore rispetto alla sua precedente esperienza sul Web, cioè alla stagione del blog, abbandonato un paio d'anni fa dopo pochi mesi: per comprendere meglio la cosa ci vorrebbero i miei amici Milic e Marchetto, ma credo che una buona spiegazione stia proprio nel fatto che, mentre il blog direzionava la comunicazione in termini più rigidi (post-commento), Facebook consenta a Di Meo maggior velocità, più interazione e dinamismo, più condivisione empatica.

Il fenomeno è in fieri, comunque, e sarà a questo punto interessante vedere in quali termini si orienterà la sua evoluzione -dimensioni e coinvolgimento non escludono la possibilità che si creino le condizioni per un impegno diretto in politica del giornalista.

domenica 11 ottobre 2009

a proposito di un'intervista sull'università

L'intervista del Rettore di Trieste ad Enrico Milic propone, tra gli altri, il tema delle sedi periferiche e quindi anche la questione del disimpegno dell'Ateneo giuliano nei confronti del Consorzio Universitario di Pordenone.

Il Professor Peroni illustra naturalmente il punto di vista triestino, che poi è quello degli Atenei grandi che di questi tempi devono fare i conti con emrgenze economiche e strutturali; la cosa mi pare comunque interessante, dal punto di vista pordenonese, per fare una (mia, ovviamente parziale) riflessione sul significato e la presenza dell'Università in riva al Noncello.

Partiamo da un dato.
Non esiste università senza ricerca, e la ricerca si fa con biblioteche, laboratori, personale dedicato e progetti. Lo stato delle cose dice che tutto questo è possibile, nell'ambito pordenonese, forse solo nell'ambito delle Scienze multimediali; il tentativo di aprire un Dipartimento, cinque o sei anni fa, non ha sortito risultati e la possibilità che il Polo tecnologico diventi un riferimento di ricerca in grando di sviluppare energie supplementari e feconde non pare essere immediata.

Insomma: lo spazio per una presenza universitaria strutturata, a Pordenone, se c'è è davvero poco, ed induce quindi a pensare in termini di settorializzazione, di nicchia. A scartare, per essere conseguenti, progetti generalistici e a concentrare le energie. Direi di più, in questo senso: se si vuole tenere a Pordenone qualche corso "generale", magari in Economia o Giurisprudenza, sarebbe più utile attrezzarsi, accordarsi con le Università per far ricevere in remoto in diretta le videoproiezioni delle lezioni e renderle poi disponibili agli iscritti pordenonesi, magari provvedendo loro anche di tutoraggio.

Meglio, ripeto, curare le nicchie presenti e future e dotarle delle condizioni di sopra: biblioteche, laboratori, ricerca, personale. Naturalmente, se si vuole lavorare per un modello di Ateneo attrattivo nei confronti di 19-25enni del territorio e non solo. Ce ne sono anche altri, di modelli, però, non necessariamente alternativi: ad esempio la valorizzazione delle risorse presenti sul territorio, insomma la formazione postuniversitaria, che nella realtà produttiva e imprenditoriale pordenonese avrebbe senso; avrebbe senso (aggiungo, a partire dall'ambito che conosco di più) pure puntare sul ruolo dell'Ateneo per la valorizzazione e la crescita dell'intero sistema formativo pordenonese a beneficio dell'intero territorio (dalla qualità di base della formazione allo scouting dei talenti).

Certo: individuare le nicchie la loro esperibilità, valutare la possibilità di scenari postlaurea sono compiti del territorio, non degli Atenei (in questo senso, la struttura del Consorzio è un'opportunità, perché le Università sono soggetti cui ci si rivolge); sono compiti di sintesi che spettano alle figure di riferimento -insomma del ceto dirigente politico, economico, sociale e culturale.

Questo è l'altro passaggio fondante, e lungimirante: guarda alla capacità di progettare futuro.

sabato 3 ottobre 2009

non proprio malascuola

Ho riflettuto in questi giorni su Malascuola.

A parte la ruvidezza del titolo (lo so lo so, è fatto per acchiappare lettori, oggi tocca far così: però, che peccato) e gli ammiccamenti del sottotitolo (come sopra), Cremaschi ha un merito indubbio: propone a lettori non solo di scuola una visione integrale delle questioni della scuola italiana, concentrandosi, certo, sulla primaria e la secondaria ed assumendo come dato di partenza quello che di solito è l'argomento che cassa ogni discussione sui miglioramenti possibili nel sistema scolastico, e cioè la mancanza di fondi.
Cremaschi ritiene, ed intende dimostrare capitolo per capitolo, che con alcuni criteri di razionalizzazione sia possibile non solo fare dei risparmi generici, ma affrontare le sei questioni essenziali (sulle quali la convergenza nel mondo scolastico è forte, a prescindere dagli orientamenti politici):
-edilizia scolastica all'altezza,
-modifica del rapporto di lavoro dei docenti,
-riforma degli ordinamenti,
-lotta alla dispersione scolastica,
-sostegno al merito e al talento,
-finanziamento alla ricerca.

Che scuola vien fuori, dunque, dalla proposta di Cremaschi? I punti salienti:
- una scuola con meno ore in classe la settimana alla mattina, col sabato libero però e articolata su più settimane; una scuola con la possibilità di suddividere, specie nella secondaria, gli argomenti in moduli semestrali;
- una scuola che conserva l'ossatura della primaria attuale e che modifica le superiori col modello 2+2+1 (biennio comune, biennio d'orientamento, anno d'elezione orientato alla scelta universitaria: ossatura articolata e flessibile dunque), facendo iniziare il percorso a 5 anni per giungere a 18 con un esame naturalmente nuovo e modellato sul Baccalaureato francese;
- una scuola che pianifica le nuove assunzioni riducendo il numero dei docenti: la chiave è non rimpiazzare tutti quelli che, in questi anni, andranno in pensione -però, allo stesso tempo, riuscire ogni anno a selezionare e motivare all'insegnamento migliaia di giovani talenti;
- una scuola che prevede un diverso statuto del docente, con più ore da passare a scuola, una articolazione di carriera e di retribuzione fatta di ruoli funzionali e di valorizzazione del merito;
- una scuola con alcune indicazioni fondamentali formulate a livello nazionale e poi con margini organizzativi nei singoli istituti.

Punti critici e non condivisibili, com'è giusto, non mancano, ma mi pare che Cremaschi abbia messo in conto anche questi, dando in fondo al suo lavoro più il carattere di agenda setting che di proposta rigidamente normativa: ad esempio, mi pare che l'autore ritenga più facilmente liquidabili di quanto non siano la questione del precariato e quella del ruolo del "personale non docente", mentre forse la strada concreta per affrontare le questioni della scuola sia anche in una dettagliata road map di gestione di questi aspetti. Anche sull'autonomia scolastica e sul rapporto tra scuole e territorio si rimane desiderosi di qualcosa di più, ma questo è forse anche per l'impressione che Cremaschi pure su questo potrebbe dire, appunto...in ogni caso, al libro è associato un blog che sembra proprio voler stimolare le riflessioni e gli interventi.

In ogni caso, la mappa della situazione è precisa, le proposte avanzate sono chiare ed hanno tutte alle spalle storia e discussioni, non vengono certo dal nulla: l'aspetto cruciale è, come l'incipit e l'epilogo del lavoro ben colgono, quello politico.
Non tanto il fatto che la politica s'interessi della scuola, quanto il fatto che la politica sappia progettare per la scuola: due cose molto diverse. La misura della differenza tra questi due atteggiamenti l'avremo sicuramente nei prossimi mesi, attorno al tema della revisione del ciclo secondario d'istruzione.