venerdì 9 luglio 2010

un piccolo rischio che si potrebbe correre

Mi aggiungo anch'io ad una lunga serie di persone che pensano così.
Aboliamo l'esame di Stato o esame di maturità, dai. Aboliamo il valore legale del titolo di studio.
Le Università ammettano gli studenti sulla base dei loro criteri, di loro esami d'ingresso, di nessun esame se non vogliono promettere nulla d'impegnativo.
Le aziende che vogliono assumere, tanto, assumono comunque facendo pure loro selezioni etc etc.
I concorsi pubblici si faranno con l'accertamento delle competenze, si può fare, non è difficile.
E così, nella scuola superiore, resterà esclusivamente il lavoro sulla qualità di quello che si fa, di quello che si vive insieme, di quello che si fa.
Si sceglieranno le scuole così, s'imparerà a farlo così. Già si fa così alle elementari, alle medie, in fondo.
Il rischio, lo correrei.

5 commenti:

Sergio Maistrello ha detto...

La mia opinione oggi è un'opinione che avrei detestato da studente, dunque la condivido con rispetto e timore dello studente arrabbiato e intollerante per le formalità inutili che sono stato.

Epperò oggi da adulto dico che secondo me queste prove (inutili e superate in efficacia dal mondo reale, su questo condivido in toto il senso della tua provocazione) hanno il merito di mettere alla prova i ragazzi. Era una piccola prova l'esame di quinta elementare, lo era quello di terza media, lo era ancor di più la maturità. Affronti qualcosa che esce dalla tua routine, devi adattarti, devi superare un ostacolo che non hai mai veramente provato in allenamento. Ci ripensi poi e ti sembrano saltelli rispetto ai saltoni che ti aspettavano poco dopo, ma intanto era stato quello l'allenamento.

Del voto e di tutto il resto me n'è sempre importato meno del giusto. Ma l'aspetto formativo della preparazione verso un obiettivo importante, la gestione delle energie e dell'emotività, la resa sotto stress, beh io non sono ancora così pronto a cancellare tutto questo senza profondi dubbi. Anche perché i primi risultati di questa strategia del percorso netto si vedono già, nell'università e soprattutto nel mondo del lavoro.

Si può recuperare questo aspetto umano, personale, spiazzante della prova fine a se stessa nella quotidianità della scuola, secondo te?

Toyo Perplesso ha detto...

Il motivo per cui io sarei per l'abolizione del valore legale del titolo di studio e' semplice: nella realta', per come sono svolti gli esami in TUTTI gli ordini di scuola, in TUTTA Italia, non certificano l'acquisizione di nessuna competenza oggettiva, ma solo differenze di livelli all'interno della stessa classe. Neanche scuola, men che meno citta', provincia, regione o stato, ma classe!
Che senso ha che il valore dei numerini espressi per i voti abbia lo stesso peso, ai fini di concorsi e selezioni, per ogni scuola?
Le classi, le scuole, le citta', le regioni di serie A, B, C... esistono gia': mantenere il valore legale del titolo di studio significa oggi giorno essere decisamente poco aderenti alla realta', vivere in un'utopia, di cui tanti anche approfittano.
Gli esami servano per attestare semplicemente che e' stato seguito un percorso, obbligatorio (ma sarebbe discutibile...) per poter proseguire in altri di livello superiore. Condizione necessaria, ma non sufficiente: ogni scuola si ponga degli obiettivi, anche sociali, ed anche in relazione a questi progetti i suoi test di ingresso.
Eresia? idee antiintegrazione? no: un riprendere contatto con la realta', rimettere i piedi per terra, una rivoluzione.
In italia si confonde il diritto a "potere" con la prepotenza del "volere", a tutti i costi. Il voler mantenere oggi giorno valore legale al titolo di studio fa parte di una politica fuori dal tempo, che ha avuto questo come sottoprodotto, assieme ad un appiattimento della societa' che non condivido.
Siamo tutti uguali, ma tutti diversi. Ma quest'ultima cosa nessun vuole sentirlo dire... eresia!!!

VDM ha detto...

Sul valore legale del titolo universitario concordo, ma secondo me qualcuno che insegni a gestirsi nella difficoltà è necessario (quindi, non per il voto, ma per l'esercizio). Rimandare al test di ingresso in università vuol dire lasciare soli i ragazzi ad arrangiarsi. Ed è già successo, perché è da qualche anno che arrivano studenti (insegno in università) senza nemmeno la pratica spicciola dell'esame: non si chiedono né si raccontano che domande faccio, per esempio. In buona parte (ma qui con alcuni distinguo) prendono qualsiasi voto.
Ci perdono come al solito i più deboli (per esempio quelli che non hanno esperienze simili in famiglia), perché quelli in gamba si arrangiano per conto loro.

martula ha detto...

Rispondo via blog alla sua felice provocazione. E' bello sapere che qualcuno, pur lavorando nella scuola di Stato, riesce a dire certe cose. E' difficile credere che parli seriamente, però.

Piervincenzo ha detto...

Per alcuni anni, tra il 2002 e il 2006, l'esame di Stato era svolto (un po' come quello di terza media) da una commissione interamente interna, presieduta da un esterno che, di solito, doveva coordinare sei-sette classi. In sostanza, dunque, l'esame lo gestiva il consiglio di classe. Ferma restando (a mio avviso) l'abolizione del valore legale, questo, o qualcosa del genere, potrebbe essere una modalità per conservare la "prova iniziatica" nelle sue valenze psicologiche e antropologiche, che ci sono, eccome! E, all'interno di un progetto chiaro su quel che è e vuole fare, un'istituzione scolastica potrebbe valorizzare in una tale forma la visione sintetica e di largo respiro che la frammentazione in microprove invece perde.
Grazie per le interessantissime osservazioni a tutti, a Martula grazie anche del rimbalzo nel suo blog: è un argomento, evidentemente, che ci tocca.