lunedì 31 maggio 2010

una sincronia pordenonese

Sabato 5 giugno Pordenone inaugurerà la sua nuova Biblioteca Multimediale, nell'ex convento, ex tribunale, ex istituto tecnico geometri, ex liceo scientifico, ex Inchiostro, e quante altre cose ex non so, in piazza XX Settembre. E' stata una ristrutturazione rallentata dal dileguarsi della prima ditta appaltatrice; ad ogni modo, la struttura è bella, moderna, aperta sulla città. Una bella occasione di sapere e di saperi condivisi e condivisibili.
Nello stesso giorno, e nello stesso posto, prende finalmente il via un altro progetto che è passato, come qui più volte si è raccontato, attraverso qualche traversia: Wireless Naonis, il wireless civico. Anche questa è un'opportunità di condivisione di sapere e di saperi, integrabile per contiguità fisiche con l'altra.

Ora, i tempi son quel che sono. Chi legga l'offerta didattica dell'Ateneo udinese, o anche quella dell'Università di Bologna (e quelle che usciranno in questi giorni saranno dello stesso tenore)si rende ben conto che per il sapere sono, in effetti, tempi duri (e lascio volutamente perdere, in questa sede, quello che ci sarebbe da dire sui tagli alle istituzioni culturali e al sistema formativo di base maturati in questi ultimi mesi): ma mi piace vedere, in questa imprevista sincronia pordenonese, il segno di una possibilità altra, da costruire.

Senza aspettare, però, che ciò avvenga dall'alto: mi piacerebbe, semplicemente, camminare e vedere persone di ogni età entrare, uscire, fermarsi in Biblioteca, collegarsi alla Rete, scambiarsi competenze, notizie, impressioni, allacciare fili di nuove amicizie tra un libro, un sito e un caffè, costruire frammenti di nuovi saperi in una cornice civica di partecipazione.
Magari, è pure possibile.

sabato 22 maggio 2010

prendersi per mano

L'altroieri l'attuale moroso di mia figlia (prima elementare) l'ha accolta, arrivata a scuola, prendendola per mano. Io -fedele al mio ruolo di padre di matrice venetopugliese, cioè occhiuto, bacchettone, critico e pettegolo- ho eccepito (tra me e me), che il tipo avrebbe invece dovuto offrirsi di portarlo lui, lo zainone enorme rispetto alla minuta figura del tesoro degli occhi miei.
Ma pazienza; lei mi ha dato un bacetto sulla guancia e si è allontanata manin manina con l'essere che tengo sotto controllo.

Poi, sono andato verso un'altra scuola, quella dove insegno. Nel percorso tra parcheggio e istituto, fautore il primo sole decente di maggio, nugoletti di coppiette di neoconio e antica data scolastica, eccoli lì: mano nella mano. Mano nella mano, notavo, secondo una gestualità che esibisce bene lo sbilanciamento dell'uno o dell'altra (ho incrociato solo coppie etero, l'altra mattina), il computo variabile delle reciproche insicurezze e dei bisogni di affermazioni -insomma, mani brandite come buoni fruttiferi dal lui e dalla lei insicuro o insicura, mani (per contro) placidamente intrecciate di chi si è già un po' messo alla prova.

Arrivato nel cortile di fronte alla scuola, mi son messo a pensare a quante volte noto questo gesto tra i miei coetanei.
Poche, ecco la risposta. Qualcuno m'è venuto in mente: ma sono le neocoppie di quarantoltrenni reduci da divorzi o separazioni o reincontrati dopo evi, antropologicamente un'altra cosa, destinati costitutivamente ad essere parentesi alla regola. Tra coppie consolidate, se mi si passa, per beneficio cronologico, quest'evidente ossimoro (direi forse meglio: tra coppie che scommettono un giorno in più ancora su se stesse), poco da fare: il prendersi per mano è uno sdilinquimento, un cedimento, siamo tutti in carriera e lanciati verso vette di successi, suvvia, siamo nel pieno dell'efficienza, il che vuol dire che l'efficienza la stiamo perdendo (chi è davvero nel pieno, nemmeno pensa di doverlo pensare, un simile pensiero), e detta efficienza deficitante e già deficiente finalizziamo ad efficaci brancicamenti, nascosti ed interessati (a coprire serate libere, pause pranzo o caffè) corteggiamenti, accoppiamenti atletici e sintomatici.

Il prendersi per mano, pensavo entrando ormai a scuola, lo riconquisteremo -se ci sarà dato- quando avremo fatto i conti con tutto il suddetto sudare. I saggi, prima; gli altri, da vecchi.

sabato 15 maggio 2010

gli occhi parlano

L. è un commercialista che si è fatto una certa posizione. Compiuti i 45, ha abbandonato i completi grigi ed il capello corto,ha cominciato ad accostare camicie aperte a jeans, maglioncini e giacche colorate. Salta la pausa pranzo e va in piscina.
Ieri l'ho incrociato sotto casa sua, gli son passato accanto in auto, ne ho intercettato lo scorcio di un profilo, ed in quel profilo stava la stanchezza di qualcosa in più dei suoi anni, che sono anche i miei. Stava la fatica di averne di meno.

S. ha pure la mia età; accompagna le sue bambine a scuola, la mattina, saluta tutti nel percorso tra parcheggio e istituto, si ferma a parlare con conoscenti e amici e amiche, continua a farlo poi al bar, poi torna al parcheggio, trova ancora qualcuno con cui parlare o risponde al telefono. Ma al momento di aprire la portiera dell'auto -ieri l'ho vista, mentre salivo sulla mia- gli occhi le si spalancano in un vuoto che nessuno conversazione, nessun caffè, nessun messaggio o telefonata potrà colmare.

R. è diventato direttore della filiale della sua banca, tutto il giorno sta concentrato in ufficio, la cravatta blu perfettamente simmetrica rispetto alle punte del collo della camicia. Qualche mattina fa, una di quelle in cui la primavera sembrava qualcosa, gli sono passato accanto nel momento in cui scendeva dal suo scooter, e, mentre si toglieva il casco, gli occhi gli brillavano della gioia del percorso fatto in motorino, come quando eravamo al Liceo. Gli appuntamenti in banca, in quell'istante, potevano aspettare.

V. l'ho salutato mentre attraversava il semaforo. Ha accompagnato anche lui i figli a scuola, veloce ed efficiente, poi si è voltato ed ha preso l'andatura sghemba e lenta di chi deve ancora rimettere in sesti i frantumi di una separazione. Nei suoi occhi, mentre ci salutavamo, stavano tanti pensieri incompiuti.

Poi, in auto, mi son guardato anch'io allo specchio, per vedere se i miei occhi mi dicevano qualcosa. Ma non c'è che fare, mi son detto: loro parlano quando non ci stai pensando; forse qualcuno, in un momento d'interesse effimero o di lungo corso, li coglierà. Tu no.

lunedì 19 aprile 2010

sentore di tempi di mia gioventù

Non c'entra assolutamente nulla con gli argomenti del mio blog, ma mi piace riportare l'articolo del "Messaggero Veneto" /edizione di Pordenone sulla promozione in A1 del Pordenone 2004 di hockey a rotelle. Ho passato tonnellate di ore su quella pista, gironzolando in lungo e in largo tra i cerchi degli esercizi obbligatori, e seduto sul lato lungo a prendere freddo o caldo, nella mia antica carriera di Giudice di pattinaggio artistico; non soddisfatto, ho passato tanti sabati a seguire le partite dei sodalizi pordenonesi di hockey a rotelle. Mi fa piacere una notizia che fa sbucare tempi della mia gioventù.


PORDENONE. Continuano i festeggiamenti in casa del Pordenone 2004, che sabato sera è riuscito a centrare la promozione in serie A1. Un traguardo da considerarsi, a suo modo, storico, dato che sono passati oltre 20 anni dalla stagione 1988-89, l’ultima che ha visto una formazione hockeistica della città di Pordenone militare nella massima serie.
La promozione dei ragazzi di Lucio Marrone è arrivata al termine di un campionato sofferto, che i bluarancio sono però riusciti a concludere in quarta posizione. Nei play-off, a causa del ritiro del Follonica, la squadra è passata direttamente alla fase finale, in cui ha incontrato il temibile Montebello, la formazione che si è piazzata al 1° posto alla fine della regular season. I pordenonesi hanno sconfitto i veneti sia in casa (9-6), sia sulla difficile pista di Montebello, al termine di un match emozionante, conclusosi 7-6 ai rigori, dopo il 4-4 dei 50 minuti regolamentari.
La presidentessa del Pordenone 2004, Manola Carbi, ha così commentato la promozione dei suoi: «Voglio ringraziare tutti i miei ragazzi, uno a uno, e soprattutto Lucio Marrone, che li ha allenati ed è stato uno degli artefici principali della nostra promozione. Sei anni fa, quando la società è nata, abbiamo promesso che avremmo riportato a Pordenone il grande hockey. Il 17 aprile 2010 abbiamo realizzato questo grande sogno».
Il risultato della formazione bluarancio è ancora più clamoroso, se si pensa che è arrivato dopo un solo anno di militanza in A2. I vertici del Pordenone 2004, infatti, hanno sempre dichiarato che l’obiettivo di questa stagione era la salvezza, mentre la conquista della A1 era un traguardo che la società si proponeva di raggiungere in 5 anni.
Entusiasti i giocatori: «Abbiamo creduto fin dall’inizio in questa squadra, ma non ci aspettavamo di ottenere questi risultati. È stato un anno davvero fantastico» ha commentato Enrico Sperotto, tra i protagonisti di questa stagione. «Sono in squadra da due anni – ha dichiarato il giovane Davide Zucchiatti – e ho già avuto la fortuna di vivere due promozioni!». Sabato 1 maggio si giocherà l’ultimo atto di questa lunga stagione hockeistica di serie A2: il Pordenone 2004 affronterà il Prato, l’altra squadra che salirà in A1, nella sfida che servirà a decretare la vincitrice assoluta del campionato 2009-10. Miroslava Pasquali

mercoledì 14 aprile 2010

Pordenone che legge, Pordenone che pensa (spiegando Caproni in classe)

Pordenone che legge in libreria
(da Mauro Danelli soprattutto, via)
Pordenone che pensa al suo passato
(la corsa del sediol, il sindaco gokartato)
Pordenone che legge i quotidiani
(furti, litigi, peccati paesani)
Pordenone che pensa al suo futuro
(dopo Bolzonello, un sindaco celoduro?)
Pordenone che che legge niente male
(l'opera infaticabile di quel di Visinale)
Pordenone che pensa all'istruzione
(Polo Tecnologico, Università, Formazione)
Pordenone che legge e che fa acquisti
(flessione di vendite dei grandi stilisti)
Pordenone che pensa l'area vasta
(con l'ospedale in Comina la Pontebbana non basta)
Pordenone che legge e fa la spesa
(gestire la cultura è anche impresa)
Pordenone che pensa diligente
(il sogno, una classe dirigente)
Pordenone che legge lungo i viali
(zigzagando tra i centri commerciali)
Pordenone che pensa al tempo bello
(intasando la rotonda di Cimpello)
Pordenone che legge e si consola
(il Ramarro arranca in D, non vola)
Pordenone che pensa a un'opinione
(confronti tra politici, la sera, in televisione)
Pordenone che legge ogni mese
(la rivista di Luciano Padovese)
Pordenone che pensa anche ai suoi guai
(si spera nell'arrivo del Wi Fi)
Pordenone che legge con prudenza
(ogni tanto, un esame di coscienza)
Pordenone che pensa all'autostrada
(troppo tardi, vada come vada)
Pordenone che legge i suoi bilanci
(patto di stabilità ferreo, attenti slanci)
Pordenone che pensa anche all'estate
(ferie ridotte, vacanze rimandate)
Pordenone che legge Santarossa
(evviva Villanova alla riscossa)
Pordenone che pensa al multiverso
(l'ultimo di Avoledo non va perso)
Pordenone che legge i suoi confini
(glocalità, mercati, identità e affini)
Pordenone che pensa e non s'incanta
(Alberto Garlini tra anni Settanta e 0ttanta)
Pordenone che legge tutt'un fiato
(al recupero del tempo passato)
Pordenone che pensa alle generazioni
(giovani, vecchi, nuovi, antichi, commistioni)
Pordenone che legge, scrive e pensa:
tra le cose migliori dell'esistensa.

lunedì 12 aprile 2010

Federico Tavan torna ad Andreis

Questo articolo, dal Gazzettino (edizione di Pordenone) di ieri, domenica 11 aprile 2010, racconta il ritorno, finalmente, ad Andreis di Federico Tavan. Sia lode alla legge Bacchelli.

Tavan, il ritorno a casa
Il Poeta è tornato a casa. Ad Andreis. Ci sono voluti quattro anni, ma alla fine Federico Tavan ce l’ha fatta, può ricominciare a guardare «la vita c’a cjamina» dal suo "dalz", la casa con il ballatoio in legno che ora divide con Mariana, la badante romena che lo aiuta ad affrontare le necessità quotidiane. È stato un percorso lungo e difficile. I centri di salute mentale di Sacile, Maniago e Montereale le sue tappe, con al fianco la sua "psichiatressa" Laura Litorali. E poi i laboratori di attività espressive che con Eliana Picca hanno dato vita alla straordinaria esperienza di "Trapolant". Il riavvicinamento con gli andreani, quelli che l’hanno amato e quelli che l’hanno rifiutato, è cominciato a piccoli passi. Arrivava due volte a settimana, andava in cimitero a trovare i suoi morti e poi alla locanda "Vecje for" a fumarsi la sigaretta. Prove di "reinserimento" durate tre mesi, conquistate grazie dal vitalizio ottenuto con Legge Bacchelli, quella che sostiene le persone che si sono distinte nel mondo della cultura, ma che si trovano in condizioni di indigenza. Quindici giorni fa, rieccolo a casa, definitivamente, fuori dalla dimensione protetta in cui ha vissuto gli ultimi anni, con «quelli - come dice lui - così così».
L’effetto sugli andreani? «Chi non lo capiva prima, non lo può capire adesso» dice Franco Fasan, il titolare della locanda dove il poeta è di casa e a tutte le ore si rifugia nel calore di una famiglia. C’è la sua tazza personale, quella del Milan. C’è la fetta di torta al mattino. C’è la sigaretta bruciata con pochi tiri sul ballatoio, guardando la sua vecchia casa. La sua quotidianità è fatta di passeggiate fino al cimitero, un sorso d’acqua alla fontana. «Bundì Chico...». Lui ricambia con un bacio sulla guancia a chi non vede da tempo. Sono le undici del mattino e nella piazzetta di Andreis c’è via vai di gente. «Bundì Chico, bentornato in famiglia», lo saluta calorosamente l’ex sindaco Donatella Bucco. Gli parla con orgoglio della proiezione di "Segni particolari nessuno", il documentario che rappresenta una sorta di diario personale del poeta di Andreis. Lui sorride compiaciuto, poi abbraccia l’amico Andrea Comina, che gli è stato vicino nei momenti più bui, dividendo con lui anche la casa. Guarda divertito il suo amministatore di sostegno, l’avvocato Paolo Luisa Vissat, che gli porge il giornale: «Ti ho portato "il manifesto", così leggi». Lui cerca subito le vignette di Vauro. «Vauro mi piace».
Non ha voglia di "parole" Federico Tavan. «No, non scrivo - dice - Disegno». Disegna e legge Pasolini. Ma se gli infili in mano uno dei suoi libri di poesie, un lampo illumina i suoi occhi e con voce chiara comincia il suo canto. Paolo Luisa Vissat lo stimola con parole rubate a uno dei suoi versi, lui s’improvvisa al tavolo del "Vecje for", perchè «alcune - precisa - non tutte, le so a memoria».
Sa di non essere solo. Cita gli amici che in questi anni lo hanno sostenuto e hanno continuato a fargli visita: Aldo Colonnello, Rosanna Paroni Bertoja, Paolo Medeossi, Federico Rossi. Guai a parlargli di Corona. «Non ci parlo. Scrivilo». Il disagio patito per un dispetto subito durante uno spettacolo ai Colonos ha lasciato il segno.
Ma ora è di nuovo ad Andreis. Guarda il monte Raut e pensa che vorrebbe essere a Bologna, a mangiare la mortadella. O magari a Parigi. Sì, perchè se Federico Tavan ha un desiderio, quel desiderio è un piccolo viaggio. Ed è a Parigi che gli piacerebbe tornare.

venerdì 9 aprile 2010

viale della libertà, Pordenone

L. percorre la mattina il viale prendendolo da metà, dall'incrocio con via Mameli, e fermandosi spesso nel bar che sta in fondo al viale, a bere un caffè. Poi si muove, la incroci a varie ore ed in vari punti più o meno attorno al viale, con il suo sguardo sghembo e l'andatura storta di ex bella ragazza rovinata da troppi viaggi di coca e di eroina tra fine anni Ottanta ed inizio decennio di poi.

S. lo vedi sul viale di solito al pomeriggio, lo percorre frenetico e ritmato, col suo passo sincopato e febbrile, in linea retta, senza guardarsi o a destra o a sinistra, ma neanche dritto. La sua testa se n'è andata da qualche parte, oltre il viale, in fondo al viale, chissà, da qualche anno.

F. percorre il viale in bicicletta, con un rapporto incredibilmente corto che lo costringe a mulinare frenetico le gambe per produrne un movimento di risulta. Si veste con tute di felpa o calzoncini corti senza rispetto per le stagioni; sempre, in ogni caso, indossa calzini di spugna infilati in zoccoli o, se è caldo, infradito. Diversi di qui ne apprezzavano la semplice sobrietà, anni fa. Ora è sempre solo.

Viale della libertà, Pordenone.