In questi giorni, come si può leggere qui, gli aderenti della Provincia di Pordenone al Pd sono convocati in riunioni tra gruppi di circoli per esprimere le loro valutazioni su un documento chiamato "Bozza del programma fondamentale del decennio".
Che una formazione politica provi a pensare oltre gli angusti spazi delle tornate elettorali, è cosa lodevolissima, mai abbastanza auspicata; che a metà luglio ci si dia da fare per incontrarsi e discutere al riguardo, senz'ombra di dubbio è cosa meritoria. E ci mancherebbe.
Però però, ci sono alcuni però, che mi sento di elencare.
Primo però: il metodo.
Il documento è frutto del lavoro di una ristretta commissione: verrà, immagino, distribuito ed illustrato, quindi discusso, com'è prassi nella storia dei partiti. Ma si può ancora costruire così un documento, soprattutto con il titolo e le ambizioni che porta con sé? Le forme di costruzione collaborativa sono abitudine ormai consolidata, che il Web ha potenziato negli ultimi anni, e soprattutto per un partito che deve ancora strutturarsi un'identità, e che può farlo solo guardando in avanti, mi pare che qui un po' più di coraggio costruttivistico non avrebbe guastato.
Secondo però : la formula narrativa.
Il documento si può scaricare dal link sopra riportato, al momento attuale mi pare di averlo fatto solo io, peraltro. A leggerlo, è l'enunciazione di una serie di temi dell'attualità politica (Europa, ricchezza, istruzione, immigrazione, ambiente, semplificazione amministrativa): ma si può ancora narrare un futuro, nel nostro tempo, con le movenze della pianificazione del Programma (tra l'altro: io insegno, e la scuola non è certo il luogo più reattivo del pianeta nei confronti delle innovazioni; ma ormai da una trentina d'anni nessuno parla più di Programma, bensì di Programmazione)?
Quante cose di oggi erano impensabili nel 1998?
Non sarebbe meglio (e qui avrei bisogno del Guru gangherologo Giorgio Jannis per spiegarmi meglio) cercare d'intuire degli scenari e proporre dei frames narrativi, delle linee di approccio alla realtà, più che di adattamento con movenze da Procuste della realtà ad un proprio orizzonte? Più che un "io voglio", declinazione reboante dell'"io posso", non sarebbe meglio una costruzione dell'"io sono"?
Terzo però: il contenuto.
Il documento proposto è molto scarno, generale nelle indicazioni. A leggerlo, il suo contenuto è non tanto la costruzione del futuro, quanto la preoccupazione per il presente. C'è, in sostanza, un malessere nei confronti del tempo nel quale si è, che viene superato congelando le preoccupazioni dalle quali si è abitati in formule apotropaiche, da uscita dal tempo.
C'è, strisciante, un'idea terribile, in fondo: che non ci siano orizzonti di reale speranza, ma un mucchio di problemi da avvolgere e anestetizzare di parole, spettacolarmente. Questa cosa, devo dirlo, a leggerla mi ha colpito molto, e me ne sono fatto un po' una ragione ripensando alle belle pagine di Cristiano De Majo e Fabio Viola in Italia 2. Viaggio nel Paese che abbiamo inventato, sulla Roma spettacolare di Veltroni, soprattutto queste parole di pagina 278: "L'Italia ha smesso di produrre cose e idee. Ha subito un processo di mummificazione. Dunque l'unica cosa che ci resta da fare per continuare a campare è dare questa mummia in pasto ai turisti."
Ecco. Sia detto con tutto l'affetto e la simpatia e la stima umana che provo per gli estensori del documento, alcuni dei quali conosco come brave persone, ma l'idea che se ne ha è questa; che si dica: abbiamo smesso di produrre idee e cose, vogliamo tirare a campare.
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