Bella mattina, stamane, in Provincia di Pordenone, dove si è tenuta la seconda giornata dei seminari sul lavoro di rete che coinvolgono, sotto l'egida dell'Ente locali, operatori delle cooperative sociali, dei servizi alla persona, della medicina territoriale e della scuola. Un'iniziativa cui tengo particolarmente, organizzata insieme ai mie amici de l'Ippogrifo Francesco Stoppa, Roberto Muzzin e Fabio Fedrigo. Ad introdurre e a concludere i lavori il sociologo Marco Cerri.
All'interno di una lunga e bella serie di riflessioni sull'adolescenza come situazione limite che svela le zone di tensione dell'adultità oggi, mi è stato dato il compito di proporre qualche riflessione sulla mia esperienza di insegnate al riguardo. E mi è venuto in mente di far ricorso ad alcune immagini del discorso antropologico.
La scuola è fisicamente ancora organizzata come luogo di un rito che ha queste caratteristiche: è un rito comunitario (in quanto si colloca all'interno della logica di un consesso sociale); è un rito sacerdotale (in quanto ha un officiante, l'insegnante); è un rito iniziatico (in quanto ha la sua svolta fondamentale nell'iniziazione rappresnetata dagli esami una volta detti di maturità -appunto). Il mito narrativo che le è stato tradizionalmente connesso è quello della trasmissione del sapere e dei modi di accesso all'adultità.
Ma oggi? Il punto non è quello dei riti, ma del mito diverso da raccontare. E'un mito più mobile, più oggetto di negoziato, non molto diverso nelle sue istanze fondamentali però (saperi e adultità): si ricombinano però le sue componenti, i suoi mitemi.
Di conseguenza, altri riti lo devono sostenere. Quali? L'ipotesi che ho proposto è questa: riti partecipativi, nei quali cioè ci sia non un sacerdote, ma un officiante; riti, insomma, che hanno la loro figura-perno nella figura non del sacerdote, ma dello sciamano.
Lo sciamano è un individuo che nella società spesso sta ai bordi (e socialmente l'insegnante è già, spesso, in questo stato), ma che si attiva nel momento del rito, in una dimensione strutturalmente fatta d'attraversi, una dimensione liminale (penso qui alle suggestioni della gangherologia di Giorgio Jannis): un officiante che salva lo spazio del sacro, definendolo però in una dimensione molto più mobile, interattiva, partecipativa, per le quali le metafore del Web assumono forte pregnanza cognitiva.
mercoledì 9 aprile 2008
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